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lunedì 31 marzo 2008

Recensione: Malevolence



Genere: horror/thriller
(poco splatter)


Regista: Stevan Mena


Stati Uniti 2004



Julian e Marylin, causa seri problemi economici, prendono parte
ad una rapina organizzata dal fratello
di lei Max e un complice, Kurt.

Il colpo va male e i quattro fuggono
in direzioni diverse con l'accordo
di ritrovarsi in una casa abbandonata. Kurt, rimasto a piedi, prende come ostaggi una donna e sua figlia
che però riesce a scappare. La ragazzina trova rifugio in un ex mattatoio dove il vero incubo avrà inizio, perché quel luogo è la dimora
di un feroce serial killer.









Non aprite quella porta + Halloween + Venerdì 13
=
Malevolence.



Sembrerà una battuta, ma è davvero così: questo film è più che debitore degli slasher anni ‘70/’80. In effetti la mancanza di originalità si sente.
C’è però una trovata a mio avviso interessante del regista,
ovvero l’introduzione del serial killer.


Che ci sia un maniaco lo capiamo
sino dalle prime scene.
Ma il regista cambia strada,
e si concentra sulle vicissitudini
della coppia Julian-Marylin.
I due hanno serie difficoltà finanziarie,
e la ragazza spinge (su idea del fratello Max) per prendere parte ad una rapina.
Julian, che dà l’impressione di essere
un bravo ragazzo (succube però della fidanzata), si trova messo
con le spalle al muro e accetta.


La rapina va male. Max viene ferito mortalmente, e la coppia di fidanzati deve sotterrarlo in un campo.
Kurt, il quarto rapinatore, prende un’altra via. L’accordo è di incontrarsi
in una casa sperduta, per dividersi il malloppo.
Sfortunatamente la sua macchina si guasta, così si reca in una stazione
di servizio con l’intenzione di rubare una macchina. Sulla macchina trova
una ragazzina, e decide di prendere in ostaggio lei e la mamma.


Kurt giunge nella casa abbandonata prima della coppia;
mentre sta contando i soldi la ragazzina riesce a fuggire
rifugiandosi
in un vecchio mattatoio abbandonato. Kurt raggiunge il lugubre luogo
e viene massacrato senza pietà da una figura misteriosa.




La coppia arriva nella casa e trova la mamma, legata e imbavagliata. Capiscono che qualcosa è andato storto. La donna chiede aiuto:
Julian, sensibile e sempre più in rotta di collisione con la fidanzata,
decide di darle una mano.




Tutti ora dovranno fare i conti con un temibile serial killer.


Penso possa bastare qui.


L’unica novità di questo film è appunto (tentare di) sviare lo spettatore, distraendolo con le peripezie dei quattro sfigati rapinatori,
per poi fare entrare in scena il serial killer.


Ci sono voluti sei anni (sembra incredibile ma è così) per realizzarlo,
causa scarso budget (200 mila dollari). Si dice che il regista abbia usato
qualche parente nel cast...
Malevolence secondo i ben informati
è la parte centrale di una trilogia (evvai, un’altra trilogia, se ne sentiva
la mancanza!!!). Il prossimo episodio, considerato il periodo necessario
per la realizzazione del primo, è previsto attorno al 2050 (scherzo).




I difetti?
Che è poco originale, l’ho detto subito. E l’avete capito dalla trama.
Non sappiamo niente, ma proprio niente sul serial killer, e forse non è poi così un gran difetto, perché i serial killer incarnano il Male assoluto,
e non necessariamente debbono avere un volto e una biografia.
Alcune persone muoiono senza pietà, altre vengono risparmiate
(il serial killer ha la mamma legata sotto gli occhi e… cosa aspetta
ad ucciderla?).




Il serial killer dopo essere stato accoltellato, ferito da un’arma da fuoco, investito da un trattore, abbattuto da un kalashnikov,
precipitato da un grattacielo di trenta piani, dopo che gli è piombato
un satellite in testa continua a seminare terrore incurante
delle più logiche leggi della fisica.
Come da consuetudine di questo genere di film l’assassino…
non muore mai.


Il fatto che sia quasi un film amatoriale non è un punto debole, anzi, secondo me è la salvezza di questo film, quello che mi impedisce
di massacrarlo senza alcuna pietà.
Poi a me è piaciuto, però non posso dire lo stesso del 90%
degli altri spettatori. Quindi prendete con le molle il mio voto.


Secondo me i gravi difetti principali sono due.


Manca lo splatter.
E mancano gli attributi.
Mi spiego meglio.


C’è poco splatter. Troppo poco.
Sì, qualche coltellata, ma niente di spaventoso.
L’atmosfera è buona. Campagna deserta, i grilli che cantano, ambientazioni sporche e malsane, buio, oscurità, mistero. Con qualche particolare raccapricciante il film avrebbe guadagnato qualche punto.




Poi, dicevo, non è un film “bastardo”. Perdonatemi, non prendetemi
per sadico o malato anzi, sono io il primo a “soffrire” quando personaggi innocenti vengono uccisi, ma ripeto il regista poteva essere
molto più cattivo.
Vedi
Alta Tensione di Aja.




Riepilogando, Malevolence è un film “povero” (nel senso del budget
e delle idee), ma non mi sento di bocciarlo.
Potrebbe piacere a chi non è esperto di horror e cerca qualche brivido. Merita comunque la sufficienza. Stiracchiata, ma la merita.



Voto Finale: 6



Scheda dell'IMDb


venerdì 14 marzo 2008

Recensione: The Fog


Genere: horror
(poco splatter)


Regista: John Carpenter


Stati Uniti 1980



Nella cittadina di Antonio Bay fervono
i preparativi per la festa del centenario.
Il clima di festa è funestato
da inspiegabili fenomeni.
L’equipaggio di un peschereccio scompare misteriosamente.

La sera della festa una fitta nebbia avvolge la cittadina.
Qualcosa o qualcuno sta tornando dal mare per saldare
un vecchio debito…



Padre Malone:

Antonio Bay è un paese maledetto,
tutti noi siamo maledetti


Se qualcuno in futuro dovesse chiedermi “vorrei avvicinarmi all’horror ma non sono ancora pronto per fiumi di sangue” il primo film
che mi verrebbe in mente sarebbe questo The Fog
.
Vediamo insieme il perché.


Primo: il regista.
John Carpenter è sinonimo di garanzia.

Il seme della follia
. Il Signore del Male.
La Cosa
.
Halloween. Vampires.
Tanto per fare qualche nome...


Secondo: l’atmosfera.
La nebbia è un fattore atmosferico suggestivo, non c’è alcun dubbio.
Il regista anche qui ripropone il tema dell’assedio. Così come in molti dei suoi lavori precedenti, i protagonisti
sono circondati dalle forze dell’oscurità
e non c’è possibilità di sfuggire. Questa volta è un’intera cittadina
ad essere posta sotto assedio.


Terzo: la storia.
La trama del film non è molto differente dalle storie
di fantasmi che si possono raccontare seduti attorno
a un falò sulla spiaggia.
Affascinante e suggestiva.


Quarto: il ritmo contenuto.
Non ci sono balzi sulla sedia, boati fragorosi, Carpenter non rincoglionisce lo spettatore con la regia frenetica (caotica forse è il termine giusto)
di film odierni tipo Saw.


Quinto: i sinistri presagi che annunciano ai protagonisti (e allo spettatore) la venuta del Male. Carpenter vuole suggerirci uno spavento, non ricorre allo splatter a buon mercato.


Sesto: la credibilità dei protagonisti.
Le loro reazioni sono normali, e quindi credibili. Sono persone comuni di fronte a qualcosa
di inspiegabile.


Questi sei fattori (spero di non avere perso qualcosa per strada) combinati assieme producono un film che non sarà certamente
un capolavoro di ritmo e azione, ma ha tutte
le qualità per essere catalogato nella categoria
“film di culto”.


Forse (il dubbio è comunque d’obbligo) The Fog non raggiunge i livelli dei capolavori citati precedentemente, ma questo non gli impedisce
di ritagliarsi un posto tra i
“film che un horrormaniaco dovrebbe vedere”.


Mi sembra opportuno approfondire un pochino la trama.


Il tranquillo paese di Antonio Bay è pronto
per la festa del centenario.
Mentre fervono i preparativi eventi sinistri minano la tranquillità degli abitanti.
Vetri in frantumi, guasti improvvisi,
animali impazziti.
Ma il peggio deve ancora venire. Una barca di pescatori viene circondata dalla nebbia: nell’oscurità appare un galeone (o un vascello, fate voi),
i tre pescatori vengono aggrediti ed uccisi da misteriosi figuri.




Le indagini (perdonatemi la battuta a buon mercato) sono in alto mare: solo un corpo viene ritrovato, ma troppe domande non trovano risposta.


Nel frattempo padre Malone,
il reverendo della cittadina,
trova nella sacrestia un diario nel quale è celata una orribile verità sulla nascita del paese. Antonio Bay è un paese costruito su una menzogna.
Del sangue innocente è stato versato. Ora quelle vittime stanno tornando per chiedere che giustizia venga fatta.




Questa è pressappoco la trama, ho cercato allo stesso tempo di essere abbastanza chiaro senza però svelare troppi particolari.

A voi scoprire il resto.


Andate sul sicuro con questo bel film. Ci metto la firma.



Voto Finale: 9 (forse anche stavolta sono stato troppo buono...)



Scheda dell'IMDb

mercoledì 5 marzo 2008

Recensione: Masters of Horror - Imprint (Takashi Miike)



Attenzione: alcuni dei contenuti
di questa pagina potrebbero disturbare
la sensibilità di chi legge.


Genere: horror
(molto splatter)


Regista: Takashi Miike


Stati Uniti/Giappone 2006



Il giornalista americano Christopher torna in Giappone
per raggiungere la sua amata Komomo
(una prostituta)
e portarla con sé in America.
La ragazza però non c’è.

Sarà un’altra prostituta
a raccontare quello che è successo. Una verità agghiacciane.







Ecco un altro di qui film che hanno fatto molto parlare di sé.
Oddio, non è un film vero e proprio, un mediometraggio
da un’oretta scarsa, ma tanto basta per dare “scandalo”.


Mi ricordo benissimo di qualche anno fa quando sfogliando un quotidiano avevo letto della presentazione a Torino di un film horror “estremo”.
Non mi sono mai più tolto quel titolo dalla mente, chissà perché.
Sapevo che prima o poi l'avrei visto.
I film forti mi incuriosivano allora che non ero patito dell’horror, figuriamoci oggi (vedi Cannibal Holocaust)!


Quel film era ovviamente Imprint, l’ultimo episodio dell’interessantissima serie Masters of Horror.


Qualcosa negli USA era andato storto. Dovete sapere che ai 13 registi
era stata concessa piena autonomia e libertà creativa:
pensiamo all’episodio diretto da Joe Dante, per fare un esempio, Homecominhg, uno spietato atto d’accusa all’attuale governo Bush…
o al festival dello splatter di Jenifer del nostro Argento.
Ma i conti non tornavano… in effetti erano stati trasmessi “solo”
12 episodi, il tredicesimo (sbaglio o in America il numero 13 porta sfiga?)
era stato “censurato”. Si è deciso di non mandarlo in onda.


Sto parlando di Imprint.
Perché?


Conoscete Miike? Io ho visto
solo Audition, e mi è piaciuto (trovate qui la recensione).
E’ un autore geniale, senza alcun dubbio, che non guarda in faccia nessuno. E’ un autodidatta, si è fatto le ossa lavorando sodo e applicando le (poche) conoscenze apprese frequentando la prestigiosa Yokohama Vocational School
of Broadcast and Film
.
E' entrato nel giro lavorando
per show televisivi fino ad esordire
nei primi anni novanta alla regia
di film a basso budget.
Di strada ne è passata dagli esordi. Gli aggettivi su di lui oggi si sprecano.


Quest’uomo ha talento da vendere. Ma anche qualche rotella fuori posto… è solo una battuta, però devo dire che la sua immaginazione
è molto perversa, e ben si addice al mondo dell’horror.
A dovere di cronaca va detto che in questi anni si è cimentato
anche con film di azione (sulla yakuza), fantasy per famiglie
(perdonatemi ma proprio non riesco ad immaginarmi un film per famiglie diretto da Miike!), dramma, satira grottesca, commedia, road movie, adattamento di manga, western e pellicole… indefinibili.


Il lavoro più famoso in occidente è Ichi the Killer, un festival
dello splatter. Film consigliabile solo a spettatori che abbiano un po’
di dimestichezza con la violenza e il sangue.
Prima o poi lo vedrò anch'io e vi farò sapere.


Miike è un regista Libero. Notate la elle maiuscola. Fa quello che vuole. Non è possibile imporgli dei vincoli. Ama rimescolare le carte
(spesso nei finali dei suoi film, e Imprint non fa eccezione)
e spaziare tra diversi generi.




Mi sembrava doveroso dire qualcosa su questo regista fuori dagli schemi.
Tutto ciò che ho detto l’ho estrapolato dalla rivista Horror Mania,
che ogni mese dedica due-tre pagine alla biografia di grandi registi/attori.


So che oramai avete l’acquolina in bocca… vi chiederete:
ma quando inizia la recensione?


Vi accontento subito.


Prima mi sembra doveroso approfondire un po’ la trama,
ché nell’introduzione è sempre un po’ scarna.


Cristopher è un giornalista americano. Tempo fa in Giappone
ha conosciuto Komomo, un prostituta, e se ne è innamorato.
Komomo, malgrado il mestiere porti a pensare male, è un angelo.
E, ovviamente, è invidiata dalle altre prostitute.




Ora Cristopher è tornato, fermamente deciso a portarla con sé per regalarle
una vita felice, la vita che Komomo merita. Ma della ragazza non c’è traccia.
Nel gruppo delle prostitute ce n’è una
che se ne sta in disparte, ed è maltrattata da tutti. Sarebbe pure bella, se il suo volto non fosse sfigurato.
Cristopher decide di passare la notte nel bordello, e gradisce la compagnia di questa emarginata.
Chissà, forse lei sa dove è finita Komomo.




Infatti Chris ci ha visto giusto. La prostituta sfigurata è stata accolta
molto male nel bordello da tutti (definita "mostro"), tranne che
dall’angelica Kimono, che si è dimostrata una vera amica.
E’ proprio lei a comunicare a Cristopher la notizia che mai avrebbe
voluto ricevere: Komomo è morta. Si è impiccata. Non ha resistito all’attesa del ritorno dell’amato.


Cristopher cade nello sconforto.
La prostituta racconta la sua sfortunata vita, le difficoltà dei genitori,
la madre che si vede costretta a venderla, il continuo e sofferto peregrinare tra squallidi bordelli… ma soprattutto narra la tragica fine di Komomo. O meglio, quello che è successo prima del suicidio. La ragazza, così gentile e disponibile con tutte, è stata tradita vigliaccamente dalle sue “colleghe”. La punizione è stata esemplare.
Qua il ritmo piuttosto basso (ma per niente lento) dell’episodio si impenna notevolmente: i cinque minuti di tortura sono di una ferocia inaudita.
Non entro nei particolari.




Ma Cristopher non è del tutto convinto: il racconto della prostituta sfigurata non lo convince…lui vuole certezze…
e la verità avrà.
A caro prezzo.
La ragazza continuerà a raccontare mezze verità, ma quando si deciderà
a “vuotare il sacco”
(scusate l’espressione un po’ rozza)
Cristopher assisterà ad uno spettacolo che non dimenticherà mai.
La sua mente rimarrà segnata. Per sempre.


E qui termina la descrizione un po’ più accurata della trama.


Uno la può leggere e pensare: beh, dov’è ‘sta violenza? Tutto ‘sto casino per cinque minuti? No, non correte. Innanzitutto basterebbero i cinque minuti di tortura. Ma Miike va oltre. Decisamente oltre.


Imprint parla anche di incesto.
Ma soprattutto l’esposizione
(ripetuta e dettagliata) di feti abortiti
è probabilmente il “sorpasso del limite”
che ha “impedito” la messa in onda dell’episodio. In effetti su Sky mentre gli altri 12 episodi sono stati trasmessi regolarmente alle 21:000 (VM12 e VM14), l’episodio di Miike è stato mandato in onda alle 23:15 (VM18).
Non parlo del mostro bicefalo perché in questo contesto appare
quasi grottesco, ed è l’ultimo dei fattori che fa “paura”
(anche se la sua comparsa è molto inquietante, bisogna ammetterlo).


Dunque, da quello scritto sinora mi chiederete: Imprint è un festival dello splatter gratuito a buon mercato? O c’è qualcos’altro
che contribuisce a renderlo un film da vedere, nel senso che lascia qualcosa allo spettatore (oltre alla scene violente, quelle entreranno
nella vostra memoria e non usciranno più, sebbene penso che in giro
ci sia molto peggio), qualche riflessione?


Opto per la seconda risposta.


Intanto dal punto di vista estetico il film sfiora la perfezione.
Io ho adorato l’immagine delle girandole mosse dal vento.
Esteticamente superbo, va almeno visto per la bellezza delle immagini. Fate così: magari guardate i primi minuti, poi arrivati alla tortura…
lasciate perdere.
Dal punto visivo questo film è, e non sto esagerando, uno spettacolo,
una gioia per gli occhi.




Forse questa è l’ennesima trovata geniale di Miike: colori così caldi, poetici e immagini così forti, Una contrapposizione efficace. Mi viene in mente Cannibal Holocaust, in particolare l’abisso tra le dolci musiche
di Riz Ortolani e la ferocia delle immagini.
Ma Imprint non è CH. CH confronto a questo film è una spacconata,
una cafonata. Imprint probabilmente è arte. E’ poesia.
Una poesia mostruosa, drammatica, angosciante, agghiacciante, feroce, brutale, una fiaba nera. Ma, ripeto, ha un tocco di poesia.




Miike probabilmente con questo suo lavoro vuole riflettere
sulla società odierna. E non è una visione ottimistica. Tutt’altro.
Imprint è la testimonianza del trionfo incontrastato del Male. Dell’innocenza annientata (in alcuni casi ancora prima della nascita,
parlo degli aborti), corrotta. L’Inferno non è una realtà astratta,
un luogo che si può raggiungere dopo la morte (come dice il monaco buddista alla giovane protagonista sfigurata). No, l’Inferno è la terra. L’Inferno è qui. Il Paradiso? E cos’è?
Non c’è posto per il Bene, il Male trionfa e prevarica sempre e comunque,
e sono proprio le persone migliori a dover subire le atrocità peggiori.


In questo senso Imprint è un elogio al pessimismo.
Il film è strutturato come un “pozzo senza fondo”.
Vi spiego meglio il significato di questa metafora.
La notizia della morte della povera Komomo (la visione delle torture
subite è una pugnalata al cuore dello spettatore) è già di per sè atroce. Potrebbe bastare così. Invece no. Ci sono troppe carte ancora coperte, troppe menzogne. Pian piano le carte in tavola si scoprono,
e la verità emerge. Questo film è un precipizio, nel senso che non c’è limite al dolore, alla tragedia, alla sofferenza: all’orrore. Ogni segreto del quale
il povero Cristopher viene a conoscenza è di volta in volta peggiore,
non c’è limite al dramma.


Come da consuetudine Miike negli ultimi secondi rimescola le carte in tavola,
e getta qualche ombra sul passato
di Cristopher; questo è e rimane comunque un mio dubbio,
che ho riscontrato anche in altre recensioni: forse… forse.
Non c’è certezza. E se… non si potrà mai sapere.



La caratteristica veramente disturbante di un piccolo capolavoro
come Imprint non è da ricercare nelle impressionanti scene di tortura,
nei feti sanguinanti o nei mostri bicefali, bensì (come capitava anche
ne
La Cosa di Carpenter) in quell’aura di mefitica predestinazione
che avvolge l’intero episodio.
Imprint funziona per Miike da cartina di tornasole di una società
(quella contemporanea) nella quale non c’è più speranza per nessuno
e dove i valori (personali o pubblici che siano) sono scomparsi
sotto la pressione di un cupo pessimismo che l’estro visionario
del regista giapponese rende esplicito e quasi palpabile
”.



Questo è quello che dice Paolo Zelati nella breve recensione di Imprint sulla rivista HM (nelle stesse pagine dove ho preso la biografia del regista).
Sono d’accordo. Posso sottoscrivere tutto.


E qui veniamo alle conclusioni personali… l’episodio mi è piaciuto.
Tanto, poco? Sicuramente è uno dei prodotti più estremi che abbia visto, ma non sono rimasto particolarmente turbato. Forse ho sottovalutato
il mio limite di sopportazione (ma non è che abbia intenzione
di metterlo alla prova), forse la violenza di questo prodotto è talmente vicina alla realtà che non mi fa più “effetto” niente… ma questi in fondo sono affari miei e non credo che vi interessino.


L’episodio comunque mi ha colpito (positivamente), e lo consiglierei
a chi… mah… se siete pessimisti lasciate perdere, questo film
potrebbe darvi il colpo di grazia… anche se rimane comunque “finzione”... dal punto di vista estetico dovrebbero vederlo tutti gli appassionati
di cinema, perché è un gioiellino… io vi ho messo in guardia
riguardo al contenuto e alla violenza mai come in questo caso esplicita,
poi siete grandi e vaccinati e saprete voi se questo Imprint vi può piacere
o no, vero?


Per quanto riguarda il voto… mi trovo seriamente in difficoltà.
Giudicare un lavoro di Miike credo non sia mai cosa facile.
Audition
si è beccato un bel 9.
Questo Imprint resta qualcosa di mai visto… a volte, per giudicare
un film, mi chiedo: se adesso, in questo esatto momento, l’avessi
tra le mani, lo guarderei un'altra volta? , senza ombra di dubbio.


Merita il massimo dei voti. Perché è un film che lascia il segno.
Ed è quello che vuole il regista.




Voto Finale: 10



Scheda dell'IMDb


Masters of Horror: il sito ufficiale della serie

lunedì 3 marzo 2008

Recensione: Cloverfield



Genere: fantascienza


Regista: Matt Reeves


Stati Uniti 2008



Un gruppo di amici prepara una festa
a sorpresa per Rob, che sta per partire
per il Giappone.
La serata è funestata dalla comparsa
di un mostro che devasta la città
di New york: i nostri protagonisti
cercheranno di portare in salvo la pelle.






Cloverfield ovvero: “tanto rumore per nulla”.



Anch’io dovevo dire la mia su questo film.
Tutti ne hanno parlato. E non potevo stare zitto.


Era una vita che sul web circolavano voci su Cloverfield.
Finte indiscrezioni sulla trama, sui protagonisti, soprattutto sul mostro.
Poi un trailer misterioso ha gettato benzina sul fuoco.
E il passaparola oramai si era esteso a macchia d’olio.




Per non parlare poi di locandine e poster dentro i quali si celavano messaggi subliminali (tipo la faccia del mostro). Forse.
Dico forse perché molte persone si sono scervellate… per niente.
Tempo perso.
Forse il fatto che dietro a questa abile operazione ci fosse il creatore
di Lost J.J. Abrams ha fatto perdere la testa a molta gente.




Io della serie TV ho sentito parlare, e pure bene. Dicono sia qualcosa
di geniale, di folle, finalmente un prodotto diverso dal solito.
Altri invece ribattono sostenendo che non si capisce niente e che si tratta solo di una presa in giro nei confronti del pubblico che ha abboccato.


Io su Lost non so cosa dirvi (magari se l’avete visto lasciate
una vostra impressione), però posso parlarvi di questo Cloverfield.
Che, malgrado le mie precedenti parole possano avervi fuorviato,
mi è piaciuto.


Cloverfield ha spaccato in due la critica.
Andate sui siti di cinema: vedrete poche vie di mezzo (intendo voti
come 5/6/7).
O si adora o fa schifo.


Quelli che lo adorano dicono
che ha portato una ventata di freschezza
ad un genere oramai asfittico,
quello dei monster-disaster-movie
alla Godzilla per intenderci, introducendo
il punto di vista dell’uomo comune,
del cittadino qualsiasi che si trova
ad affrontare una situazione imprevista.
Hanno ragione.


Chi critica dice che di originale
non c’è niente, e che Cloverfield
è esclusivamente un’ottima operazione commerciale. Hanno ragione anche loro...


Finora ho tenuto il piede in due scarpe, ora però devo dire la mia.
Partiamo dunque con l’analisi del film.


I primi minuti, ovvio, sono un po’ banali e superflui, ma del resto
sono necessari per introdurre i protagonisti del film.
Criticare l’inizio del film è esclusivamente tempo perso.


La festa per Rob, che sta per partire per il Giappone per lavoro,
è funestata da un terremoto.
Magari fosse un terremoto… un mostro gigantesco sta radendo al suolo
la città.


Potete pensare e dire quello che volete, ma la scena della testa decapitata della Statua della Libertà è leggenda. Secondo me entrerà nella storia
del cinema. Forse sto esagerando, ma sicuramente se fra vent’anni
mi dovessero chiedere cosa mi ricordo di questo film non avrei esitazione a menzionare suddetta scena.
Spettacolo puro.




Mi direte: ma come ha fatto quel mostro a decapitare con precisione chirurgica la testa della statua? E la capoccia non è un po’ piccola rispetto alle dimensioni reali? Avete ragione, in effetti il film è pieno di momenti controversi che ne minano la credibilità e la veridicità.


Per questo vi segnalo un link molto interessante, un articolo scritto
con molta ironia ma soprattutto con competenza da Andrea Colombo
sul sito Horror.it:



Cloverfield For Dummies



La telecamera è indistruttibile e le sue batterie inesauribili…
il comportamento dei nostri protagonisti non sempre è credibile…
il grattacielo a mò di Torre di Pisa… e poi Beth appare invulnerabile…
per non parlare dell’elicottero che precipita rovinosamente
con i nostri protagonisti illesi…
e lasciamo stare il mostro che appare da un momento all’altro
(ma i nostri non si accorgono di niente? e sì che fa un po’ di casino
quando si muove…).




La trovata principale del film è quella di raccontare l’assedio della città
visto attraverso gli occhi di un comune cittadino: dietro alla telecamera potrei esserci io, o voi che leggete. Una persona comune di fronte
a qualcosa di inspiegabile.
E’ impossibile parlare questo film senza citare una data
entrata indelebilmente nelle nostre menti: parlo dell’11 settembre 2001.
Io me la ricordo ancora come se fossi oggi. Tutti nei bar con il naso all’insù
a guardare quelle immagini inspiegabili che trasmettevano le TV.
Un pò come succede agli invitati della festa di Rob.
Un senso di confusione e caos. Angoscia pura.




Cosa dire sulla trovata della telecamera… è la croce e delizia del film. Perché riesce sì a catapultare lo spettatore dentro l’avventura,
ammesso che questo non abbia avuto un mancamento… perché il senso
di confusione e i giramenti di testa prendono il sopravvento.
Io vi ho avvisati… la cosa a me non ha pesato più di tanto,
ma non so voi e i vostri gusti…


Però non mi vengano a dire che è una trovata originale.
Cannibal Holocaust
vi dice niente? “Continua a girare, Mark,
continua a girare!!!
”. Mitico Alan Yates. Ho detto tutto.
Poi fu The Blair Witch Project.
E in questi giorni un certo REC sta mandando in estasi gli horrormaniaci...
Comunque secondo me questa è una trovata positiva, perché catapulta
lo spettatore dentro la vicenda, ammesso che questo non abbia avuto
una crisi epilettica.




Veniamo al mostro. Fa paura? Boh… brutto lo è, pure brutto forte,
ma dire che fa paura… non lo so. Potrà spaventare qualche bambino
o qualche spettatore sensibile, ma per chi è appassionato dell’horror
non so cosa dire. Di sicuro Godzilla è più simpatico, in confronto sembra un tenero peluche.
Sicuramente le sue apparizioni con il contagocce sono gestite bene,
poi negli ultimi minuti c'è il faccia a faccia e il nostro amico si concede
per un primo piano.




Non si capisce cos’è. Non si capisce da dove è spuntato. Forse dal mare. Forse questa creatura degli abissi si è risvegliata dopo un lungo sonnellino, o forse causa caduta di un satellite o esperimenti genetici un pesciolone
è cresciuto a dismisura… boh, cosa dire, negli ultimi secondi
(Rob e Beth al luna park) c’è l’immagine di qualcosa che cade nel mare:
ma sapete cosa vi dico, che tutti questi indizi probabilmente
non sono altro che un presa per il …


Poi il nostro mostro è in buona compagnia: dal suo corpo si staccano… esseri (non so davvero come definirli) che attaccano chiunque gli si pari davanti. Non chiedetemi come sono fatti, perché nella confusione generale non l’ho capito. Il loro morso produce un effetto molto indesiderato:
fa esplodere le persone. Questo momento è un pugno nello stomaco
dello spettatore (intendo la scomparsa di uno/una della compagnia
di amici). Forse sono parassiti… chi lo sa.


Ora sto per dire qualcosina sul finale… lo coloro in grigio così lo saltate
se non avete visto il film.



Il finale, diciamolo, è amaro e quasi commovente (a me in fondo è dispiaciuto
che sia andata a finire così). Triste ma indovinato.




Immagino già almeno una dozzina di sequels. Sto scherzando, ma oramai
la rete ha perso la testa per questo film e già si parla di seguiti,
e penso che J.J. Abrams preparerà un altro bell’amo con un’esca grossa
in modo da fare abboccare molti utenti del web.


In conclusione mi verrebbe da consigliarvi di andare al cinema a dargli un’occhiata, ma… sulla telecamera ho già detto… ci sono alcuni momenti poco credibili… poi troppe domande non hanno risposta…
forse proprio questo è quello che ha diviso il pubblico.


Comunque nel bene e nel male vale la visione, se temete il mal di mare aspettate il dvd (o reperitelo in qualsiasi altro modo legale…)
e guardatevelo comodamente a casa e, mi raccomando,
non aspettatevi chissà cosa.



Voto Finale: 7

(senza l'imponente battage pubblicitario gli avrei dato un voto più alto; comunque in fin dei conti mi sono divertito)



Scheda dell'IMDb