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martedì 22 aprile 2008

Recensione: Cane di paglia



Titolo originale: Straws Dogs


Genere: drammatico


Regista: Sam Peckinpah


Stati Uniti 1971



Un matematico americano si trasferisce
nella campagna inglese con la moglie.
L’ambientamento nel nuova realtà
non è facile: gli abitanti del paese non sono campioni di buone maniere...
L’uomo subisce in silenzio, ma quando alcuni di questi assediano la casa, si difenderà
con ogni mezzo.










I cani di paglia accettano silenziosamente
il proprio destino, supinamente
e senza lamentarsi mai.
A volte però i cani di paglia prendono fuoco.




Cane di Paglia non è un film facile.
Arancia Meccanica
non è un film facile.
Tutti e due hanno in comune l’anno di uscita, il 1971, e il tema trattato:
la violenza. Vista da due punti diversi: dal lato della vittima
(in questo
CdP) e dal lato del carnefice (in AM).


Dire che un film non è facile… è un’affermazione un po’ vaga.
Cerco di spiegarvelo con parole mie. Questi film non sono
puro intrattenimento. Non sono distrazione. Se avete due ore libere
e volete rilassarvi… non vi consiglierei Cane di Paglia. Questo non toglie che si tratti di opere che hanno segnato la storia del cinema.


Questo film l’ho conosciuto
grazie ancora una volta
alla segnalazione della rivista

Horror Mania
.
Nell’angolo dell’approfondimento
si trattava del “rapporto” tra uomo comune e violenza.
David Summer è un uomo comune.
Un uomo medio. E’ sì intelligente,
ma anche un po’ goffo ed impacciato.
Con la bella moglie si trasferisce in un paese della campagna londinese. L’ambientamento della coppia nella nuova realtà non è facile.
David è poco incline a socializzare, ma del resto gli va dato atto
che i compaesani non sono certamente esemplari dal punto di vista dell’educazione.


David e Amy possiedono una villa ed un casolare che va ristrutturato:
ad effettuare i lavori ci pensano alcuni operai fra cui Charlie Venner,
che anni prima aveva avuto un flirt con Amy. David subisce senza reagire
i dispetti degli operai che non perdono occasione per denigrarlo.





C’è un limite di sopportazione. Accendete la tv e ascoltate un tg qualsiasi: molte persone si incendiano per poco. Se fai le corna per un sorpasso,
se freghi un parcheggio, se l’arbitro ti fischia un fallo contro.
Ma il limite di David è molto in là, all’orizzonte. Lontano, molto lontano. Ma gli eventi lo spingeranno a raggiungerlo.


Gli operai lo invitano ad una battuta
di caccia. Ma è solo un pretesto.
David viene abbandonato
e i suoi compagni trovano qualcosa
di più divertente da fare (non mi sento
di dirvi cosa).


David e la moglie vengono invitati ad una festa organizzata dal reverendo
del paese, ma il clima non è di quelli più felici. Amy è turbata,
qualcosa di grave è successo, e David ne è all’oscuro.
I due abbandonano la festa e si avviano verso casa.


Nel frattempo Henry Niles, un ragazzo disturbato mentalmente si apparta con una ragazzina, Janice, e inavvertitamente causa la sua morte.
I parenti della giovane la cercano, e Henry si dà alla fuga, quando viene investito da David che con la moglie sta rientrando a casa.
David, ignaro di quanto è appena accaduto, decide di portare Henry a casa per curarlo in attesa del dottore. I parenti, venuti a sapere che Henry
è stato soccorso da David, si recano dalla villa del nostro protagonista
ed entrano con la forza. David non ci sta e prende le difese di Henry,
ed invita con fermezza (finalmente, era ora!) i balordi ad uscire.


Il momento clou sta per arrivare. I balordi uccidono accidentalmente
il commissario del paese, valicando un punto di non ritorno.
Oramai hanno perso il controllo (anche a causa dell’alcol).
Non hanno più niente da perdere, e decidono così di mettere
a ferro e fuoco la casa di David.





Il nostro timido professore di matematica non ha più scelta:
se tiene alla propria sopravvivenza e a quella della moglie (perchè stavolta c’è in ballo la vita), deve adeguarsi alla situazione. Trasformandosi in una macchina di morte.
Non c’è scelta, il limite di sopportazione è stato valicato, e non si può più tornare indietro. David, sinora così composto e insicuro, diverrà uno spietato animale. Deve difendere il suo territorio.





Questa più o meno chiaramente è la trama del film.


Cane di Paglia è un film lungo, ma lungo non vuole dire assolutamente noioso. Certamente Peckinpah sfrutta il tempo a disposizione per costruire un’atmosfera malsana, lugubre, di sottile angoscia, pessimistica.
Di fastidio
.
Il ritmo “decolla” solo negli ultimi minuti.


La riuscita del film è merito anche
delle efficaci recitazioni.
Spicca ovviamente Dustin Hoffman, assolutamente credibile nei panni dell’uomo con poca personalità. Grande interpretazione, davvero.
Susan Gorge, oltre ad essere
una ragazza bellissima, è a suo agio
nei panni di una donna che definire
ambigua è dire poco. Per motivare questo aggettivo dovrei rivelarvi qualche particolare della trama troppo importante, date un’occhiata al film e capirete.





Il suo è un comportamento a tratti deciso, a tratti arrendevole, una donna né forte né debole: insomma una donna insicura, quasi come il marito.
Ma non si possono dimenticare i rozzi e beceri paesani che rendono la vita del nostro David un inferno. Persone così esistono ancora oggi, soprattutto nei piccoli paesi.


In conclusione, la parabola che possiamo estrapolare dal film
è la seguente: in un mondo dominato dalla prepotenza l’unica ancora
a cui aggrapparsi per non lasciarsi sopraffare è la violenza.
Siete liberi di essere d’accordo o meno, ma io ci credo abbastanza.


PS: il film è tratto dal romanzo “The Siege of Trenchers’s Farm
di Gordon Williams.



Voto Finale: 10



Scheda dell'IMDb


martedì 8 aprile 2008

Recensione: Il buio si avvicina


Titolo originale: Near Dark


Genere: horror
(medio splatter)


Regista: Kathryn Bigelow


Stati Uniti 1987



Caleb è un ragazzo di campagna
che si imbatte in un'affascinante ragazza,
Mae, che si rivelerà essere un vampiro. Verrà morsicato, e per convivere con la sua nuova natura dovrà abbandonare papà
e sorellina e girovagare con un gruppo di vampiri sbandati,

la sua nuova famiglia.









Mae: "Guarda lassù. La vedi quella?

La luce emanata adesso da quella stella

impiegherà miliardi di anni per arrivare

fino a noi. Io sarò ancora qui quando la luce

di quella stella raggiungerà la terra…

fra miliardi di anni".



Caleb: "Che cosa facciamo ora"?



Mae: "Tutto quello che vogliamo.

Fino alla fine dei tempi".







Adoro i film di vampiri.
Adoro i film con i protagonisti brutti, sporchi, sfigati, né buoni né cattivi, insomma: disperati.
Adoro Vampires di John Carpenter e La Casa del Diavolo
di Rob Zombie.
Qualcosa in comune c’è. I vampiri “proletari”, figure distanti dalle creature signorili e affascinanti alla Lugosi, per intenderci.
E un gruppo di sbandati in fuga.


Quando un film mi piace davvero, mi emoziona, non mi fa dormire
la notte, come è accaduto anche per questo Il buio si avvicina,
senza esitazione lo promuovo con il massimo dei voti. E sorvolo
su qualche difettuccio.
Ma questa volta non sarà così. Purtroppo.
Questo film è un cult. Ma non è un capolavoro. Poteva esserlo se… vedremo più avanti.


Caleb è un normalissimo ragazzo
che abita con il papà e la sorellina.
Una sera in paese conosce una bellissima ragazza, Mae, dolcissima
ma allo stesso tempo misteriosa.
Sicuro del suo fascino ci prova.
Ma lei è restia. Tra i due comunque scatta l’attrazione.
La ragazza pronuncia frasi
apparentemente incomprensibili: Caleb, oramai ostaggio
del testosterone, non ci fa caso;
nel frattempo il tempo passa, sta per sorgere il sole… e succede il fattaccio.
Mae dopo avere in tutti i modi tentato di non cadere in tentazione morsica Caleb sul collo e fugge perché giunge il mattino. Il giovane sta male,
e il sorgere del sole provoca gravi ustioni sul suo corpo.
Mentre sta per essere soccorso dal papà e della sorellina, dal nulla sbuca un furgone: Caleb viene caricato un attimo prima di divenire cenere.
Caleb non è più un uomo.





Nel furgoncino incontra la famiglia
di Mae, tutti vampiri: i "vecchi" Jesse
e Diamondback, i giovani Severen
e Homer.
I quattro, malgrado il sentimento
che Mae prova per lui, propongono
di eliminare Caleb.
Nei suoi confronti sono diffidenti, anche perché il ragazzo non si è ancora reso conto di ciò che è accaduto. Ha sete. Ma non basta una merendina
a soddisfare il suo appetito… oramai è un vampiro a tutti gli effetti,
e solo il sangue può placare la sua fame. Ma per nutrirsi è costretto
a cacciare, e quindi ad uccidere, e lui, ovvio, è restio.


Avrà comunque modo di farsi valere
ed apprezzare dal gruppo.
Grazie a un suo gesto coraggioso
la banda riuscirà a portare in salvo
la pelle, e conquisterà la loro fiducia.
Caleb ora è felice… a metà.
Con Mae sta bene, e quel branco di pazzi, per quanto brutali, oramai sono la sua nuova famiglia. Però a casa ci sono un papà e una sorella
che aspettano… e che non si danno per vinti, e si mettono sulle sue tracce.
Il destino li farà incontrare di nuovo, e Caleb sarà portato a una dolorosa scelta: qual è la sua famiglia? Proseguire con Mae, per l’eternità,
o tornare indietro?
La sua decisione porterà comunque a conseguenze dolorose.


Per quanto riguarda la trama può bastare così.


Questo film non è un horror puro.
Ci sono i vampiri, ci sono morsi sul collo, sparatorie, ustioni ma in fin dei conti è un film per tutti. Perché è un film che parla d’amore. Un sentimento bellissimo che si viene a creare tra Caleb e Mae. Ma non è tutto qui.


Come ho detto all’inizio mi piacciono i film
con protagonisti disperati. Jesse, Diamondback, Severen, Homer, Mae e Caleb li sono.
Hanno il vantaggio dell’immortalità,
mica una cosa da poco. Ma possono dirsi felici?
Da come si comportano (Caleb e May esclusi)
sembra di sì… ma la loro è una non-esistenza: senza una precisa identità sono destinati a vagare perennemente nella notte, a fuggire da tutto
e da tutti, condannati per sempre a vivere nell’oscurità… e a commettere omicidi,
non dimentichiamolo, perché
per sopravvivere devono pure nutrirsi.


Il nome di Caleb è di origine biblica e tratteggia il destino del giovane
che intraprende un viaggio mistico e concreto verso il suo essere,
come il suo omonimo che trasportava la sua gente alla terra promessa.


Eccezionale incrocio tra horror, western
e road movie, questo film pecca nel finale. Il buio si avvicina, l’ho detto all’inizio, poteva essere un capolavoro.
Ma nel finale la regista rovina tutto.
Per essere più chiaro… ve lo devo svelare. Saltate pure le prossime righe, poi una volta che avrete visto il film ritornate qui, leggete la mia critica e… sono sicuro, sarete d’accordo con me.




Caleb torna a casa, il papà gli fa una trasfusione e il giovane… guarisce!
Ma è inconcepibile!!!!! Ma il peggio deve ancora venire.
Caleb provoca la morte dei quattro vampiri, e salva Mae sempre
con una trasfusione. E vissero tutti felici e contenti.
Errore imperdonabile della Bigelow.
Cosa doveva succedere per gridare al capolavoro? Semplice: Caleb non doveva guarire e mano nella mano con Mae avrebbero dovuto affrontare il sole lasciandosi morire. Sarebbe stato uno dei momenti più intensi e drammatici possibili. Sarebbe stato capolavoro assoluto. Vedere la coppia di vecchi
Jesse e Diamondback lasciarsi morire mano nella mano è sì toccante
ed emozionante, ma chissà se al loro posto ci fossero stai Caleb e Mae… peccato. Peccato davvero.
Forse è un po’ paradossale quello che dico, perché una buona volta che c’è
un lieto fine lo critico… ma secondo me, e sono sicuro anche secondo voi,
l’happy-end non si addice a questo film.




I momenti più sereni e lieti, sempre accompagnati da dolci musiche,
si alternano con efficacia alle scene d’azione (la scorribanda nel bar, momento piuttosto teso e violento, e l’assedio nel motel).


Per concludere… ancora una cosa sugli attori.
Azzeccato il protagonista, Adrian Pasdar, soprattutto nelle scene
più intime (non sto parlando di sesso, mi riferisco alle scene nelle quali
avverte inesorabilmente la mutazione e i lati negativi che essa comporta), impossibile non innamorarsi della deliziosa Jenny Wright ma,
lasciatemelo dire, assistiamo a due devastanti recitazioni.




Sto parlando di Jesse, il capobanda, interpretato da un impressionante Lance Henriksek, con una faccia e un’espressione a dir poco… non ci sono commenti, guardare per credere.
Indimenticabile anche il folle e squilibrato Severen,
interpretato da Bill Paxton (perfettamente calato nel personaggio,
mi sa che si è divertito parecchio).



Voto Finale: 9

(con il finale alternativo suggerito da me sarebbe stato un 10 e lode)



Scheda dell'IMDb


lunedì 7 aprile 2008

Recensione: American Psycho



Genere: thriller/horror
(medio splatter)


Regista: Mary Harron


Stati Uniti 2000



Patrick Bateman, giovane manager bello
e ricco, nasconde dietro una maschera
di apparente normalità il suo vero essere:
uno spietato serial killer.







American Psycho è il titolo di un romanzo scritto da Bret Easton Ellis.
Critici e pubblico l’hanno definito unanimemente un capolavoro della letteratura horror, un libro da leggere assolutamente.
Io che non leggo granché (mea culpa)
mi unisco al coro, anche perché ho cercato diverse recensioni sul libro e posso consigliarlo calorosamente, ammesso
che abbiate un po’ di confidenza con il genere, perché "si dice" che le ultime pagine siano agghiaccianti e scioccanti più di mille Saw.


Questo film, a differenza del libro, viaggia con il freno a mano tirato. Questo però non vuol dire che non sia efficace.
Semplicemente a differenza di film su serial killer molto splatter
(prima o poi vedrò Maniac, gli esperti lo giudicano forse il migliore
del genere mai realizzato), AP si concentra sulla doppia personalità
di Patrick Bateman, senza però eccedere con scellerate orge di sangue. Riesce però (abbastanza, ci sono alcuni difetti) a “disturbare”.


Cosa vuole dire disturbante? Me lo sono chiesto anch’io. Io lo intendo come
un senso di fastidio, una sensazione
che ti "invita" ad alzarti dalla poltrona,
e lasciare perdere con la visione del film.
Io quella sensazione l’ho avvertita.
Oddio, AP non mi ha certo tolto il sonno, però… però fa riflettere. Perché in fondo quello che ci viene raccontato
è dannatamente credibile. Reale.
Non è finzione. Può accadere tutti i giorni.


Veniamo al nostro protagonista. Patrick Bateman è l’uomo…
che ogni uomo vorrebbe essere. Almeno per quanto riguarda
la superficie…
E’ bello. E’ intelligente.
Ha un ottimo lavoro. E’ ricco.
E’ sicuro di sé.
Frequenta i locali più esclusivi. Frequenta le persone “in”.
Un essere perfetto. Ha tutto e di più dalla vita. Ma è anche un feroce
serial killer. Una sorta di supereroe “al contrario”, un Superman del Male:
la sua vera natura è nascosta abilmente dietro la maschera
che indossa quotidianamente.





Non c’è una spiegazione concreta a questo suo “vizio”.
Probabilmente Patrick Bateman altro non è che un figlio degli anni ’80, così sostengono molti critici (sono troppo giovane per averli vissuti…), ovvero anni durante i quali ha preso il via un’inesorabile “spersonalizzazione” e declino dell’uomo.


A mio avviso PB non è altro
che un uomo comune.
Era una brava persona, tranquilla, mai un gesto fuori posto”. Quante volte durante i tiggì sentiamo ripetere
questa frase, magari dopo che un uomo stimato e rispettato da tutti
ha sterminato la famiglia, oppure
dopo qualche inspiegabile suicidio.
PB è la testimonianza che la mente umana è dannatamente complessa.
PB è la dimostrazione che l’apparenza conta, conta davvero.
PB, ultima osservazione, conferma che avere tutto non rende automaticamente felici.


Questo film, ripeto, colpisce.
Patrick è un personaggio sì malvagio, ma affascinante nella sua mostruosità. Un uomo che non mostra alcuna emozione. E’ cinico. Indifferente.
La sua sete di sangue lascia interdetti.
Come ho detto prima
non c’è spiegazione a questa violenza. Credetemi, nonostante la sua malvagità è comunque difficile odiare
questo personaggio. Lui stesso si rende conto della sua natura brutale,
ma non riesce a tenere a freno il suo istinto.





E alla fine… già, devo dire qualcosa sul finale. Anzi no, meglio dire niente, perché è un finale un po’ complicato, che lascia più di qualche domanda
in sospeso, ogni spettatore può avere un’impressione diversa.
Un finale ambiguo, proprio come il nostro Patrick.


Il punto di forza di AP, è fuori discussione, ha un nome e un cognome: Christian Bale.
Non ho voglia di dilungarmi con elogi, complimenti e smancerie varie:
la sua interpretazione è perfetta.
Nel cast anche Jared Leto, Willed Dafoe, Reese Winterspoon,
tanto per fare qualche nome.


AP scorre via liscio per tutta la durata, tra un aperitivo, una tirata di coca e qualche cadavere. Si lascia guardare. Spiazza. E’ quasi ipnotico.
Un film magari senza grandi acuti da parte della regista,
un po’ troppo contenuto (in quanto a violenza), ma che consiglierei
ad ogni appassionato di horror (in particolare quelli sui serial killer).
Una visione la merita sicuramente.
E pure una lettura al libro non guasterebbe…



Voto Finale: 9



Scheda dell'IMDb