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martedì 28 luglio 2009

Recensione - Martyrs



Genere: horror

(maxi splatter)


Regista: Pascal Laugier


Francia 2008



Tenuta prigioniera per un anno

da misteriosi aguzzini, durante il quale viene sottoposta a brutali violenze fisiche e psicologiche, Lucie riesce

a fuggire.

Verrà curata in un istituto dove stringerà amicizia con Anna.

Passati quindici anni è in cerca

di vendetta, e sembra avere trovato

chi le ha fatto del male.....











La gente non ha più intenzione di soffrire.

Il mondo è fatto in questo modo,

ci sono soltanto vittime.

I martiri sono molto rari.

Un martire, sì, è un’altra cosa.

Un martire è un essere eccezionale,

sopravvive alla sofferenza,

sopravvive alla privazione di tutto.

Lo si carica dei mali della terra e si abbandona, trascende, capisce questa parola, si trasfigura...





Difficile recensire un film di questo tipo. Un anno fa mi ero addentrato nell’horror meno conosciuto, apprezzando particolarmente il cinema d’oltralpe, mi vengono in mente opere tipo Alta Tensione, Calvaire,

À l’intérieur (film che per una notte mi ha fatto dormire male), Them,

e immagino pure Frontièr(s), sul quale mi sono informato parecchio

(che mi manca ma recupererò prima o poi). Film cattivi e disturbanti.





Ma qui siamo su un altro livello, tocchiamo vette di malvagità, perversione e sadismo quasi inaudite.





Mi trovo in difficoltà innanzitutto perché questo film nasconde

una sorpresa dentro l’altra, come una matrioska.

Mi spiego meglio: non è UN solo film, difatti durante l’ora e trenta minuti di pellicola assistiamo a diversi capovolgimenti di fronte che danno vita

a diverse "sottotrame".





All’inizio c’è una ragazzina che corre disperata. Sta fuggendo da chissà quale orrore. Si chiama Lucie. Per un anno ha subito maltrattamenti

di ogni genere, ma quello che conta è che è riuscita ad evadere.





Verrà ricoverata in un istituto, dove farà amicizia con Anna, che diverrà per lei un’inseparabile amica, quasi una sorella.




Sono passati quindici anni. Entra in scena una famiglia qualsiasi.





La loro serenità verrà spezzata dalla furia di Lucie.

Si intuisce che il capofamiglia ha più di qualche responsabilità

nel triste passato della ragazza.





La ragazza è emotivamente instabile, il suo passato la perseguita sotto forma di visioni: c’è l’agghiacciante spettro di una donna che la tormenta. Era una sua compagna di prigionia. Anche in questa tragica situazione Anna è al suo fianco, malgrado l’aggressività e le frequenti crisi

di autolesionismo di Lucie mettano a dura prova il loro legame.





Diciamo che dopo 40/50 minuti il film potrebbe concludersi. Mi chiedevo cosa potesse tirare fuori il regista per “riempire” i restanti 30/40 minuti.


Bene, ora deve essere chiara una cosa: la violenza della prima parte non è nulla in confronto a quello che sta per essere mostrato sullo schermo.





E qui si manifesta un paradosso. La prima parte del film è molto

più splatter della seconda, eppure i 50 minuti successivi riescono

in una difficile impresa, VIOLENTARE PSICOLOGICAMENTE

lo spettatore. La serie di torture (più psicologiche che fisiche a mio avviso,

anche se la violenza non manca) alle quali dovremo assistere non possono

lasciare indifferenti.





Penso sia sbagliato associare questo film ai vari Hostel, Saw & company. La violenza c’è ed è esagerata, tuttavia c’è un qualcosa dietro.

Almeno questa è la mia sensazione, condivisa da chi ha apprezzato

questo film o comunque da chi ha cercato di andare oltre alle immagini.





Ora a mente fredda mi pongo la domanda: questo Martyrs ha davvero qualcosa in più rispetto ai “filmetti” citati poc’anzi, oppure è uno splatter-movie qualsiasi mascherato egregiamente (e furbescamente)

da horror di qualità? Bella domanda. La risposta più vera e sincera

penso possa darla solo il regista.





Quando si guarda un film del genere bisogna farsi un esame di coscienza, chiedersi “perché l’ho guardato?”. Sapevo benissimo a cosa andavo incontro (o meglio, mi ero fatto un’idea, anche se non pensavo potesse sconvolgermi così tanto). Così come quando ho recuperato, tanto per fare qualche nome, Cannibal Holocaust, o Imprint, e così via.





Dal mio punto di vista i due film citati in precedenza hanno più contenuto, o meglio più critica sociale. Questo Martyrs accenna solo qualche dibattito, di sicuro rivolge uno sguardo poco amichevole alla borghesia, però non mi sembra che voglia parlarci di qualche tema in particolare.


Sì, nella seconda parte abbiamo a che fare con una domanda che da sempre l’uomo si pone: “c’è qualcosa dopo la morte?”, però non credo questo

sia un film il cui primo fine sia la riflessione. Credo che l’obiettivo

del regista sia stato creare un horror con le palle, un film che facesse

voltare dall’altra parte dello schermo anche gli horrormaniaci più tosti.

Ammetto che con il sottoscritto c’è andato davvero vicino.





A questo punto un’ulteriore domanda da porre alla mia coscienza è:

perché ho visto questo film? Risposta: perché ho letto che è un horror

"come si deve", e "si dice" che una volta visto sia difficile dimenticarlo. Avevano ragione.





Cos’ha di particolare Martyrs? Perché è stato definito da molti addetti

ai lavori un "Signor Horror", uno dei migliori degli ultimi anni, un prodotto destinato a diventare un capostipite del genere e tracciare un solco

per quelli che saranno gli anni a venire?

Altro quesito che richiede una profonda analisi.





Al di là della violenza quasi estrema penso che il punto di forza di Martyrs sia il malsano rapporto che crea con lo spettatore.

L’inizio, se ci pensiamo bene, dà un barlume di speranza.

Lucie è fuggita dai suoi aguzzini, per lei potrebbe iniziare una nuova vita,

ma non sarà così. Per quanto la sua vendetta sia atroce è difficile

non provare empatia nei confronti suoi e di Anna, sempre al suo fianco.

Il rapporto tra le due commuove. Alcune scene, adeguatamente accompagnate da un sottofondo musicale che si innesta alla perfezione

con le immagini, rischiano di strappare una lacrima. Davvero toccanti.





Merito delle due strepitose attrici, che donano disperazione

(nel caso di Lucie) e umanità (nel caso di Anna) alle due sventurate protagoniste del film.





Una volta che lo spettatore, malgrado tutto, si è affezionato

alle due ragazze… il peggio sta per arrivare. Ecco il Martirio del titolo.

Che non riguarda solo le protagoniste, ma anche lo spettatore.

Mi viene in mente la scena di Arancia Meccanica dove Alex viene obbligato a guardare immagini violente: assistiamo impotenti al massacro di una creatura umana, imprigionata come un animale, sottoposta

a violenze ingiustificate, spogliata di TUTTO (chi ha visto il film sa a cosa

mi riferisco quando parlo di tutto…).





La voglia di lasciare perdere e guardarsi un film allegro piuttosto che andare a letto (anche se dormire serenamente dopo la visione di Martyrs è impresa ardua) è notevole, ma è anche viva la curiosità (mai come

in questo caso) malsana e morbosa di sapere come andrà a finire.

Ecco un altro paradosso: siamo martiri, ma allo stesso tempo complici

delle atrocità viste sullo schermo.





Il finale è devastante, lascia il segno. E’ un finale molto furbo, diciamoci

la verità, perché non dà una risposta. Va anche dato atto al regista di avere percorso la scelta più giusta (e comoda): la domanda che i torturatori

delle sventurate protagoniste si pongono non avrà mai risposta.

Esporsi era troppo rischioso, meglio “rimanere nel dubbio”.





Guardare Martyrs è come salire sull’ottovolante dell’Orrore.

Sali, le cinture sono bene strette, ti chiedi se non era meglio

lasciare perdere, te la stai facendo addosso, vorresti scendere ma oramai

il viaggio è iniziato, troppo tardi, spiacente, la giostra è partita e volente

o nolente il giro avrà termine. Anzi no. Finito un giro sulle montagne russe c’è la possibilità di essersi divertiti.


Dopo un film del genere la percezione della violenza non sarà più la stessa.


Martyrs fa provare diverse sensazioni: ansia, ribrezzo, commozione, umanità, disgusto, impotenza: è un vortice di emozioni che ti scombussola il cervello, ti scrolla, e mette a dura prova le coronarie.


Si rimane con una sensazione di stordimento, ti fa sentire sporco dentro,

ti chiedi il perché di tutto quello, ti chiedi se questo è l’horror che fa per te, se non è quasi meglio un Hostel qualsiasi, meno impegnativo

ma meno disturbante, ma una cosa è certa: questo film ha un obiettivo, sconvolgere, e il regista nel mettere in piedi la sua opera ha rasentato

(se non raggiunto) la perfezione. Chapeau.


Un po’ A’ l’intérieur, un po’ Funny Games, un po’ Hellraiser,

un po’ Imprint, un po’ horror asiatico, un pò Rosemary's Baby,

Martyrs è un film che ha fatto, fa e farà discutere.


Un prodotto adatto a poche persone, solo a un pubblico CONSAPEVOLE che abbia voglia di salire sulla giostra dell’Orrore e, una volta sceso, rendersi conto di avere percorso un viaggio indimenticabile, nel bene (dato che è un film che sicuramente emerge - egregiamente- dalla massa,

e non si scorda facilmente) e nel male (non mi meraviglierei se finita

la visione qualcuno pensasse “no, questo non è l’horror che fa per me”,

e lo capirei benissimo).




Voto Finale: obiettivo centrato nel migliore dei modi, dunque 10 e lode.


(Anche se mai come in questo caso mi sono sentito in difficoltà nel dare

un giudizio, visto che questo film mi ha colpito davvero e difficilmente

lo rivedrò una seconda volta. A ore, giorni, settimane dalla visione

non riesco ancora a capire se mi è piaciuto o meno.)



Scheda dell’IMDb




Pubblicità:

www.filmetelefilm.com

giovedì 18 giugno 2009

Recensione - La Croce dalle Sette Pietre



Genere: pseudo-horror

(poco splatter)


Regista: Marco Antonio Andolfi


Italia 1987



Marco viene scippato di una croce gemmata.

Il ragazzo è vittima di una maledizione,

e deve recuperare al più presto l’amuleto

per evitare di trasformarsi in un licantropo.









"Quando si dice che al trash non c'è mai fine…

La Croce dalle Sette Pietre è forse il più povero, brutto e ridicolo

dei film horror prodotti in Italia e riuscire a vederlo tutto è stata un'impresa epica da parte mia.

.....

Se siete appassionati irriducibili di schifezze su celluloide vi consiglio

di recuperare questo film per capire fin dove può spingersi la serie Z"


AlexVisani.com



"E' il delirio più totale. Questo film è un trash di dimensioni ciclopiche"


Exxagon.it



"La Croce dalle Sette Pietre è un autentico capolavoro,

girato con tre lire e mezzi scarsi (la povertà delle riprese lo testimonia),

un lungometraggio assolutamente imprescindibile per ogni adepto del brutto, da godere dal primo all'ultimo fotogramma in cui, pateticamente, si fa apparire il volto di Gesù Cristo sullo sfondo di Piazza San Pietro

a simboleggiare la ritrovata serenità del bistrattato protagonista"


FilmBrutti.com



"Invidio molto Andolfi per il suo coraggio, mentre nel mondo uscivano Full Metal Jacket, Gli intoccabili o Il cielo sopra Berlino,

lui si presentava con La Croce dalle Sette Pietre. Che grand’uomo!"


Oltre il fondo



"Andolfi ha l’espressività di un cactus disidratato

.....

Il tutto è talmente surreale e sgrammaticato da porre nella mente

di chi guarda un amletico dubbio: “ma questo ci è o ci fa?”.

O meglio: “ci troviamo di fronte ad un genio surrealista incompreso

o ad un folle scriteriato privo della minima concezione cinematografica?”

Il film è ovviamente quanto di più trash si possa immaginare.

.....

Durante la mutazione il volto di Andolfi si contrae in una smorfia che provoca un sussulto di risa talmente violento da stimolare le vie urinarie.

.....

Il dubbio che Andolfi se ne stia comodamente sbracato sulla sua poltrona, ridendo di tutti coloro che scrivono del suo film (me compreso)

e mormorando gongolante tra sé e sé: “V'ho preso pel culo!”

è un’immagine che rende insonni le mie notti"


Profundis.it



"C'è un mio buon amico ed esperto regista che, quando recensisce film

del genere, si diverte a dare un doppio giudizio, uno dal punto di vista cinematografico ed uno dal punto di vista trash.

Ecco, secondo me per valutare La Croce dalle Sette Pietre bisogna semplicemente abolire il primo criterio di valutazione e mantenersi esclusivamente sul secondo. Solo così si può recensire equamente

questa immonda pellicola.

.....

La Croce dalle Sette Pietre ha tutti gli elementi per chi vuole passare una serata in una baita di montagna con la propria fidanzata e scoprire,

il mattino dopo, di essere ritornato improvvisamente single"


Splattercontainer.com



"Un film intrecciato con un senso profondo della protesta civile,

esempio di fantastico che si intreccia con il quotidiano"


Un pirla





Dicono che al peggio non c’è limite. Mai detto fu più vero.

Dopo Il Bosco 1 pensavo di avere toccato il fondo, ma avevo un vago sentore che questo film potesse raggiungere vette di assurdità

mai toccate prima.


Come spiegare l’effetto di questo abominio sul sottoscritto?

Bene, ora mi trovo davanti al pc, e svogliatamente sto cercando di scrivere due righe su questa pagliacciata. Penserete “ma chi te lo fa fare?”.

Lo faccio per voi cari lettori. Pe la vostra salute mentale.


Il Bosco 1, nella sua (involontaria, sia chiaro) demenzialità faceva crepare dal ridere. Questo no. Stimola sì le lacrime, ma dalla disperazione.





Da dove cominciare? Ho solo l’imbarazzo della scelta. Già dai primi minuti chi ha più di un neurone nel cervello capisce di avere di fronte un prodotto fuori dal comune (e non è un complimento...)


C’è un’orgia. Un vecchio coglione invoca un certo Aborym

(Aborì in napoletano). Una specie di yeti.





Dicono che l’uomo che interpreta il vecchio sacerdote (Gordon Mitchell) sia un grande attore. Come dice Kang, il boss di A Bittersweet Life, “puoi far bene mille cose, ma basta un solo errore per mandare a puttane anni di lavoro”. E’ il caso del nostro buon Gordon (non me ne vogliano

i parenti, si scherza).





Il regista e l’attore protagonista sono la stessa persona.

Marco Antonio Endolfi è il deus ex machina di questa barzelletta colossale. Interpreta lo sfigatissimo Marco, un bel giovane (giovane? bah...

e nemmeno tanto bello…) bancario romano che si reca a Napoli

per trovare la cugina che non vede da tempo. Mentre passeggia per le vie

della città viene scippato di una croce gemmata che porta al collo.





Gli viene suggerito di lasciar perdere, ma il buon Marco non si dà per vinto e vuole a tutti i costi recuperare l’oggetto. Perché? Semplice.

Sua mamma era un’adoratrice del Diavolo, e dalla relazione è nato Marco. Sul fanciullo pende una maledizione: le notti di luna piena si trasforma

in un licantropo. Solo la croce gemmata può salvarlo dalla sua condanna.





Purtroppo per lui l’amuleto è finito nelle mani della camorra:

per recuperare l’oggetto dovrà dunque affrontare pericolosi malavitosi, rischiando più volte la vita. Già il titolo alternativo è indicativo:

L’uomo lupo contro la camorra. Serve altro?





La trama, come avete capito, non si regge in piedi.


Le interpretazioni sono ALLUCINANTI. A partire dal protagonista. L’espressività è inferiore a quella di un palo della luce. Alcune sue smorfie sono davvero pietose, si prova compassione.





Ma è in buona compagnia. E’ contornato da personaggi la cui recitazione sortisce effetti esilaranti. Come dimenticare gli scippatori della croce

e la loro pietosa recita una volta arrestati (“San Gennaro aiutaci tu!!!”)?

E il ricettatore Totonno il Cafone? E don Raffaele Esposito

(“Raffaele della mia minchia!!!”). Mafiosi da barzelletta ("Brutto fottuto, son of a bitch!!!").





Come dimenticare il sogno/flaschback che irrompe a metà film?

Un mix di scene insensate, inutili, IRRITANTI.





La trama è sconnessa. Alcuni personaggi appaiono e scompaiono.

Alcune sottotrame sono inutili (vedi il politico di Roma). E poi perché

il vecchio rincoglionito capo della setta appare in continuazione?





Trovare risposte a queste domande non è poi così importante,

in fondo NULLA DI QUELLO CHE VEDRETE SULLO SCHERMO HA ALCUN SENSO.


Vogliamo parlare della trasformazione? Dei primi piani di Andolfi

che digrigna i denti? Della maschera che indossa? Del fatto che una volta tornato normale indossi i vestiti?

Vi metto il video, io mi vergogno a parlarne.





Vogliamo parlare dello splatter? Gli effetti gore sono di una banalità sconcertante, imbarazzante.





Se all’inizio del film l’attenzione dello spettatore è sollecitata (sì, come no) dall’emozionantissima ricerca del talismano rubato, nel proseguire dell’opera il delirio del regista raggiunge livelli esponenziali.

Un ammasso di scene sconclusionate, inutili, prive di qualsiasi interesse, impregnate di assurdi dialoghi e personaggi squallidi e patetici

(vedi la donna alla quale si rivolge Marco per chiedere informazioni

sulla fattucchiera).





L’incontro tra Marco e la fattucchiera è il peggio del peggio.





La scena conclusiva in Vaticano è di una tristezza immensa.





Horror. Mafia-movie. Sceneggiata napoletana tipo film di Nino D’Angelo. E non dimentichiamoci una buona dose di sesso. Non bastavano le orge, no, dove patetici grassoni frustano delle ragazze, dove una bionda si fa possedere da una cosa pelosa, dove c’è quel coglione che invoca Aborym (la cosa pelosa). La scena di sesso tra l’uomo lupo e la fattucchiera

richiede l’utilizzo di un apposito sacchetto per il vomito.





Cosa resta da dire… non ci sono molte altre parole per definire questa barzelletta cosmica, certamente tra Il Bosco 1 e questa C7P è una lotta tra titani… io mi sono divertito di più a guardare il film di Marfori,

ha più “ritmo”, è esilarante dall’inizio alla fine, questo film presenta diversi punti morti, forse è addirittura più ambizioso de la versione nostrana

de La Casa di Raimi, e quindi puntando in alto precipitando si fa più male.


Una cosa è certa: non ve lo scorderete facilmente.



PS: per i masochisti... sappiate che nel 2007 è uscito una specie di sequel dal titolo Riecco Aborym... no comment.






"Dopo aver finito di vederlo ho tirato un sospiro di sollievo dopo tanta sofferenza. Va bene che sono masochista, ma fino a un certo punto.

In questo “film” è tutto troppo imbarazzante: la recitazione, la storia,

i personaggi, e come non citare il mitico scimmione peloso"


"Il film è una sorta di dipendenza, è impossibile non proseguire

nel “viaggio” della diffamazione. Storia confusa, improbabile

e raccapricciante.
La domanda non morirà mai: il regista produce trash volontario?

Perché è inutile fare panegirici, la pellicola è trash allo stato niveo,

ma era davvero questo il disegno del regista? Se è così bisogna lodare Andolfi, il regista confeziona una perla del genere e onora la comicità.

In caso contrario…"


"Veramente di una oscenità ributtante!"


"Una stupefacente boiata, ricca di trovate che lasciano davvero

lo spettatore con la mascella spalancata"


"Meraviglioso! Andolfi (o Eddy Endolf), ti venero come un Dio!

Sia benedetta La Croce dalle Sette Pietre!!!"


"Non posso che votarlo dopo aver giudicato Il Bosco 1.

La visione dell’uno secondo me è legata a quella dell’altro.

Veramente difficile fare un uno-due peggiore come qualità cinematografica. Forse questo è fatto un pelino “meno peggio”

rispetto all'opera di Marfori, ma colma il gap con una maggiore noia

durante la visione, che a tratti degenera veramente nel masochismo.

Il finale è forse il più brutto della storia del cinema"


"Non scherziamo. Qua non siamo di fronte ad un film fatto male:

stiamo parlando, almeno per quello che ho visto finora, forse del peggior film della storia.
Marco Antonio Andolfi, con i soldi dello stato (altro punto che rende

il film leggendario), riesce a frantumare qualsiasi regola del buon gusto

e realizza un prodotto che è di una comicità involontaria unica.
Le chicche di questo film sono infinite; ad esempio si noti che dovunque vada il protagonista viene descritto come un bel ragazzo, facendo cadere ai suoi piedi tutte le donne che incontra. Stranamente il protagonista

è Andolfi stesso, un uomo a metà tra Jerry Calà e il presidente

del Cagliari Cellino. Non proprio un modello diciamo.
Un film che qualsiasi amante del cinema deve vedere almeno una volta.
Mai come in questa occasione il voto non renderà mai giustizia

a questa pellicola: 0, 10, senza voto… è impossibile da valutare"


"Da segnalare che quando all'epoca uscì il film in questione,

il benemerito Andolfi si presentava sotto il nome Eddy Endolf.

Due sono i motivi: o il padre, rendendosi conto dell'abominio che aveva partorito la mente bacata del figlio, aveva minacciato di diseredarlo

se avesse sputtanato il buon nome della famiglia, oppure il povero Endolf, per timore di essere riconosciuto e conseguentemente lapidato per strada, aveva deciso bene di prendere le dovute precauzioni"


"Mi sono affezionato ai film trash, ma questa volta siamo di fronte

a qualcosa di inenarrabile e insostenibile. Non ho le forze

per commentare questo ANTI-FILM, è schifezza allo stato puro,

non fa nemmeno ridere, anzi piangere, ma in realtà non ne vale

nemmeno la pena. Un obbrobrio di proporzioni bibliche,

nient'altro che una sozzura"


"Il peggiore, veramente... Guardatelo se ne avete curiosità,

ma difficilmente riuscirete a resistere fino alla fine, è la vera negazione

di cinema"


"Marco Antonio Andolfi è un genio incompreso.

Una cosa non ho ben compreso: perché da qualunque ragazza

lui incontra riesce a ricevere complimenti per la sua bellezza?

Quest'uomo, evidentemente brutto e triste all'inverosimile, ha dovuto girare un film per farsi fare un complimento da una donna?!?!?
Sei troppo un mito Andolfi!"


"Perché un voto così alto per un film altamente ridicolo?

Semplicemente perché un film che riesce a farmi ridere per 2 giorni consecutivi per le enormi cazzate che porta con se merita solo il voto

più alto possibile!!! Ogni tanto fa bene anche al cervello vedere queste oscenità altamente dannose per la nostra salute....

W Il lupo mannaro contro la camorra e pace a tutti voi!"


"Il coraggioso Marco Antonio Andolfi, o se vogliamo Eddy Endolf

(nome che tra l'altro ricorda quelli inventati nei trailesr della Gialappa’s

e la cosa non fa che aumentare la comicità) si è guadagnato un posto

tra i miti dei giovani, proprio per aver fatto questa sottospecie di film.
Tecnicamente è sottoterra, ma rendiamo lo stesso onore a La Croce dalle Sette Pietre"


"Perché 10? Perché è facile fare un film brutto, quasi quanto fare un film bruttissimo... ma per realizzare IL PEGGIOR FILM DI TUTTI I TEMPI

ci vuole un cazzo di talento e di lavoro dietro, e come tale va premiato.
E poi, il lavoro di trucco per il licantropo è assolutamente divino,

fra i migliori mai realizzati. Questa pellicola, al pari della trasformazione

in tempo reale contenuta in Un lupo mannaro americano

a Londra, segna la svolta per l'intero genere e fissa i dogmi definitivi

nella rappresentazione scenica del lupo mannaro.
Adinolfi uno di noi"




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