Google

Benvenuti
nel mio blog.

Se le mie recensioni vi sono state utili, se vi sono piaciute,
se non siete d'accordo, lasciate un segno del vostro passaggio.
E' gratuito e libero.

Per una corretta visualizzazione dei contenuti, è consigliabile utilizzare Mozilla Firefox come browser, e scegliere l'opzione Visualizza-> A tutto schermo.

Grazie.


martedì 5 agosto 2008

Recensione: Calvaire



Genere: horror/thriller
(poco splatter)


Regista: Fabrice Du Welz


Belgio 2004



Marc Stevens è un cantante che si esibisce negli ospizi.
Durante un temporale il suo furgoncino
ha un guasto nel mezzo di un bosco,
così trova rifugio in una locanda.
Bartel, il proprietario del posto,
è un vecchio artista lacerato dall'abbandono della moglie

L’arrivo di Marc destabilizzerà il precario equilibrio psicologico di Bartel.








Perché sei tornata Gloria?


Mi hai amato almeno un po’?


Vero che mi hai amato?


Dimmelo, dimmelo che mi hai amato!


Dillo, dillo!


Più forte, più forte!






E’ possibile riuscire a “disturbare” lo spettatore senza esporre
fiumi di emoglobina? .
Non ci credete? Calvaire è il titolo che fa al caso vostro. E’ un film cupo, disperato, triste, negativo, morboso, suscita fastidio senza essere violento.
Com’è possibile tutto ciò? Scopriamolo insieme.


I minuti iniziali introducono il personaggio di Marc.
E’ un cantante che si guadagna da vivere esibendosi negli ospizi.
E’ l’unica fonte di gioia per quegli anziani soli e abbandonati a sé stessi.
Già da i primi minuti si respira un’aria di tristezza, desolazione, malinconia.




Lo spettacolo è finito, Marc se ne va.
E qui entriamo nel canovaccio dei survival horror.
Il pulmino si guasta nel mezzo di un bosco, Marc chiede aiuto
e trova il soccorso di un ritardato mentale, Boris, che lo accompagna
sino alla locanda di Bartel.




Bartel è un brav’uomo, ma il suo comportamento è ambiguo.
All’apparenza fa di tutto per aiutare Marc, ma… qualcosa non quadra.
Quando scopre che Marc è un artista il suo equilibrio psicologico
(già precario) crolla.




Bartel è un ex-comico, ritiratosi “dalle scene” una volta abbandonato
dalla moglie Gloria. In Marc rivede la compagna. E’ caduto nell’abisso
della follia e non c’è più verso di uscirne.
Per Marc è l’inizio dell’incubo, verrà sottoposto a torture
(fisiche e soprattutto psicologiche) devastanti.




Forse gli abitanti del paese vicino possono accorrere in suo aiuto…
o forse no.




Si dia il caso che nel piccolo borgo non ci sia una donna… e tutti vivano ossessionati dal ricordo di Gloria.




Marc è solo contro tutti.




Mi fermo qui, ho già detto troppo.


Come detto prima questo Calvaire sconvolge lo spettatore
senza mostrare eccessiva violenza, più che altro il punto di forza del film
è la disperazione dei protagonisti che rivestono il ruolo dei “cattivi”,
che ci porta a provare pena (e non antipatia come capita di sovente)
nei loro confronti. I loro comportamenti sono disgustosi:
alcune scene sono angoscianti, morbose e perverse: insomma, cult.




Il plauso va agli attori protagonisti, tra i quali spicca nei panni dello sfigato Marc Laurent Lucas, ma soprattutto il povero vecchio Bartel,
interpretato da Jackie Berroyer, che in molte scene riesce a commuovere.




Nel cast anche il mitico Philippe Nahon (lo straordinario killer
di Alta Tensione), anche lui tragico e commovente nell’ultima scena.




Bellissimo il titolo: quello di Marc è decisamente un calvario, una discesa agli inferi, una feroce tortura (immeritata) dalla quale non può sottrarsi.




Un vero shock questo film belga, feroce e inaspettato.
E' come se la pazzia generale fosse generata dall'assenza
di figure femminili. L'omosessualità non come scelta
ma come induzione.
L'assenza di donne impedisce il compromesso, la ragionevolezza,
fino a sfociare nella bestialità e nella pazzia.
In una scena apparentemente fuori luogo gli abitanti del paese ballano
in un locale sulle note di una canzone inquietante suonata al pianoforte, simbolo di tristezza mascherata da gioia causata, appunto, dall'assenza
di donne. Una danza fuori tempo e che vorrebbe essere liberatoria,
ma che descrive in realtà la tristezza e la desolazione
che circonda l'ambiente.
Il ritmo del film di Fabrice Du Welz è lento, ma gli shock visivi
che arrivano come una bastonata agli occhi dello spettatore
ne fanno un'opera paradossalmente scattante e malata.


Federico Lazzeri (Filmhorror.com)



Parole sante.


Sono sicuro che questo film non accontenterà tutti gli spettatori, girovagando sulla rete ho letto pareri decisamente discordanti,
soprattutto a riguardo della scena più discutibile (la danza nel bar).




Dal tono della mia recensione avrete capito che io sono uno del partito PRO Calvaire.
Pochi film sono riusciti a trasmettermi un senso di disperazione
come questo.



Voto Finale: 9



Scheda dell'IMDb



7 commenti:

Shadowtrip ha detto...

E’ possibile riuscire a “disturbare” lo spettatore senza scene esplicite di violenza? Direi certamente di si, ma questo non è di certo un punto a favore nella critica di un film. In un certo tipo di cinema europeo (mi riferisco in particolare a quello danese, belga e soprattutto francese) è una pratica consolidata se non comune.
Di sicuro la visione di questo film riesce a disturbare lo spettatore, ma può essere questo un pregio? In fondo basta azzerare la colonna sonora, ridurre al minimo i dialoghi, sfurttare pochi attori e accentuare il senso di isolamento attraverso un'ambientazione lugubre e desolata (piovose o innevate zone di campagna, casolari isolati nel bosco "nero" ecc.., mancanza di tecnologia, ecc..).
Il problema è che un film come "Calvaire" prende spunto a destra e sinistra senza darci niente di nuovo. Il silenzio delle scene , la violenza più psicologica (lasciata cioè all'immaginazione dello spettatore) che fiscica (ossia esplicità) non basta a salvare un opera a mio parere scontata e soprattutto stilisticamente autocompiaciuta ma povera di idee.
Purtoppo associo molto questo film ad un'altra opera (però francese): "Them", stilisticamente simile ed anch'essa sopravvalutata e, come il nostro film, "furbetta" e pretenziosa.
Meglio a questo punto un opere come "Funny Game" uscito ben dieci anni prima (o un qualsiasi altro film di Aneke dove la volontà di arrecare disagio non è mai fine a se stessa).
Per quanto riguardo l'ormai usurata iconografia orrifica dello zotico pervertito meglio "Non aprite quella porta" (scusate l'ovvietà), o ancora, "Un tranquillo weekend di paura" (dove ritroviamo il concetto di natura selvaggia, spietata ed anche deviata). Consiglio poi, soprattutto per le analogie con il finale (l'assalto alla casa) un'altro film simile ma il cui paragone è sprecato: "Cane di paglia" di Peckinpah.
Inoltre (ovviamente è un mio parere) non trovo per niente commovente l'interpretazione di Jackie Berroyer. Più che nel delirio, nella follia, nella solitudine o nella compassione i personaggi sfiorano la bizzarria, l'assurdo e avolte il comico (in quest'ultimo case non credo volontario).

In conclusione, un'opera mediocre, poco originale se si considera la data di uscita; di facile presa e che fallisce nei suoi intenti (se l'intento del regista era di andare al di là del paragone civiltà-natura, ragione-follia, comunità-isolamento). Pasticcione e superficiale nell'affrontare il "tema della donna", o meglio della sua mancanza (ma dove voleva arrivare?). Il film "scivola lentamente, senza alcuna freta, nella prima parte del film, per poi accellerare bruscamente nella seconda parte (una cosa del genere, scusate, si deve essere in grado di farla) disorientando lo spettatore che volesse cercare un qualche significato simbolico o comunque ipertestuale.

Francesco Dibattista "Blackinkline"
www.myspace.com/shadowtrip

Marco83 ha detto...

Benvenuto nel mio blog Francesco.

E’ evidente che la tua critica è frutto di competenza.

Dunque, vediamo cosa rispondere.

Tu associ questo film a "Them", e dici che sono opere furbe e pretenziose. Io sinceramente forse non ho ancora abbastanza esperienza per capirlo. Mi sono piaciute entrambe, ma questo "Calvaire" di più. Evidentemente mi ha trasmesso qualche sensazione in più.

Io parto dal presupposto che questi film non sono “nuovi”, “innovativi”, però nel mio giudizio cerco di non farmi condizionare da questa consapevolezza.
Sulla critica all’originalità non posso dissentire più di tanto. Non ho visto “Un tranquillo week-end di paura”, però lo conosco, so che ci sono similitudini con questo film (se non sbaglio c’è anche una scena di stupro, vero?). Ho visto e recensito (fammi sapere cosa ne pensi) “Cane di paglia”, e c’è più di qualche similitudine tra il protagonista (uomo “evoluto”) e i paesani (rozzi e primitivi).
Ed è anche vero che questo film ricalca lo schema tradizionale dei survival horror: il protagonista si trova intrappolato in un luogo sconosciuto ed è costretto a subire la follia degli abitanti (“Non aprite quella porta”, “Le colline hanno gli occhi”, ecc.). Però questa sensazione di dejà-vu non mi ha infastidito così tanto. Ho da poco visto “Grindhouse - Planet Terror”: non è assolutamente nulla di nuovo, però mi ha coinvolto, mi è piaciuto molto.

Diciamo che giudico un film in base a quello che racconta e, soprattutto, a quello che mi trasmette. Cerco di recensirlo abbastanza obiettivamente, ma poi il giudizio è personale.
Se durante la visione del film mi sento come anestetizzato, cioè annoiato, è inevitabile che il mio giudizio sia basso. “Calvaire”, fin dall’inizio, ha rapito la mia attenzione. Malgrado, come dici tu, molte scene le abbia già viste da qualche altra parte.

Sulle interpretazioni… ti dò ragione esclusivamente per la scena del bar: quella è grottesca, leggendo diverse opinioni sulla rete, è certo che ha spaccato il pubblico.
Sono abbastanza d’accordo sulle parole che ho riportato nella recensione, però effettivamente qualche perplessità ce l’ho pure io. Ma solo su quella scena.

Forse il mio giudizio positivo è anche frutto della poca “simpatia” che ho nei confronti delle roboanti campagne pubblicitarie che sponsorizzano gli horror USA (anche se in fondo resta un problema mio…): questo “Calvaire”, “À l’intérieur”, “Broken” e molti altri li ho scoperti per caso.
Solo per il fatto che non li consideri quasi nessuno sento quasi la necessità (un po’ come Robin Hood tolgo ai film ricchi per dare ai film poveri…) di premiare la loro semplicità, la loro modestia. Perché, in fondo, si tratta di prodotti non originali, non innovativi. Eppure mi affascinano, più di mille "Hostel" e "Saw" (che pure mi piacciono). Questione di gusti.

Grazie del commento e torna a trovarmi.

Shadowtrip ha detto...

Ciao Marco. Rieccomi. Premetto che non so utilizzare al meglio Blogger (sono praticamente nuovo), poichè ho sempre utilizzato Myspace. Questo il motivo per cui non ho trovato un'indirizzo email del blog e ti scrivo nella sezione commenti di "Calvaire". Dopo aver visto il tuo blog (complimeti) ho deciso di spostare le nostre recensioni (siamo un gruppo di 4 persone) da Myspace a Blogger. Il nome è shadotrip.blogspot.co. Se hai tempo dacci un'occhiata e fammi sapere cosa ne pensi. E' ancora in "costruzione" ma se lo trovi abbastanza interessante ci farebbe piacere se ci inserissi tra i tuoi "blog amici" e (viceversa). A PRESTO.
ps: ho raccolto l'invito e presto lascerò un commento alla tua recensione di "Cane di paglia".

Marco83 ha detto...

Complimenti anche a voi.
Non esito ad aggiungervi tra i blog amici.

TELEMERITI ha detto...

ho visto il film recentemente.. cercando delle informazioni su internet mi sono imbattuto sul tuo blog.. interessante. ti seguirò da oggi penso.
il film io l'ho bocciato. c'erano ottime premesse ma si sono perse ben presto.. le introspezioni psicologiche mi hanno fatto ben sperare ma fino all'ultimo la sceneggiatura nn mi ha dato grandi sussulti.. e il finale nn l'ho capito onestamente! è stato un po' gettato..

Giacometto ha detto...

capolavoro assoluto!

Unknown ha detto...

vorrei postare un osservazione che non ho letto da nessuna parte: la vecchia che viene inquadrata nel prologo del film, potrebbe essere la stessa gloria, infatti quando viene "delusa" dal protagonista, si autoinsulta disperatamente, che ne dite?