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martedì 29 gennaio 2008

Recensione: Kairo (Pulse)



Genere: horror
(ma non troppo)

(poco splatter)

Regista: Kiyoshi Kurosawa


Giappone 2001



Michi, preoccupata per la sparizione di un collega, lo cerca a casa
e assiste impotente al suicidio.
In un floppy disk c’è la strana immagine del collega impietrito
che fissa un monitor.
Michi decide di indagare.

Altrove uno studente installa nel PC Internet, ma il computer non risponde ai suoi comandi: la connessione si avvia automaticamente
e sul monitor appaiono immagini di persone sole in una stanza buia
anche loro fisse davanti al monitor.
Molte persone scompaiono misteriosamente, ed una spirale di suicidi sconvolge la città e dintorni: cosa sta succedendo?









Si può essere soli anche dopo la morte?




Molte volte ho scoperto bellissimi film grazie alle segnalazioni
(o ai DVD allegati) della competente rivista Horror Mania.
Questa volta non fa eccezione.


Kairo (in occidente conosciuto come Pulse) veniva definito
un capolavoro, un film decisamente superiore ai vari The Ring,
The Grudge
, The Eye e compagnia bella, gli horror asiatici che oggi pare siano un po’ in difficoltà (vi dirò francamente: hanno rotto).
Le opinioni dei critici sulla rete confermavano l’entusiasmo attorno
a quest’opera.
Gli spettatori hanno accolto un po’ più freddamente questo lavoro,
pur considerandolo superiore alla media.






Devo subito avvisare chi si aspetta una scossa d’adrenalina da questo film: lasciate perdere. Il ritmo non è il suo forte.

Abbiamo di fronte un horror “sociale”, ovvero un film che va al di là
dello spavento immediato e gratuito, ma vuole lasciare nello spettatore qualcosa, vuole portarlo a riflettere, a pensare, perché no a comportarsi diversamente dopo la visione.


Kairo è un film pessimista. E’ triste. E’ malinconico.
Non è il tipo di film che vi consiglierei di guardare se state passando
un brutto momento…


La solitudine e l’incomunicabilità sono al centro della storia raccontata
dal bravo Kurosawa.


L’incomunicabilità, proprio durante l’era delle nuove tecnologie.
Un bel controsenso, se ci pensate.
In fondo il regista ha ragione:
con Internet possiamo comunicare
con persone che abitano a migliaia
di chilometri lontano da noi,
quando magari non facciamo nemmeno
due chiacchiere con il vicino di casa (semplifico un po’ ma in fondo è così).


E’ un film dai colori spenti, grigio, dai suoni acuti e pungenti,
con scenografie in bilico tra luci e ombre.
Insomma, per essere breve: il regista ci sa fare.


Il film scorre su due binari, destinati ad incrociarsi nel finale.


Da una parte c’è Michi che,
dopo il suicidio del collega,
assiste impotente al comportamento
sempre più strano delle persone
che lavorano con lei.
Dall’altra c’è il giovane Kawashima che, poco pratico di informatica, non riesce
a capire cosa stia trasmettendo
il suo monitor, e decide di indagare con l’aiuto di Harue
(spero di non avere fatto confusione con 'sti nomi giapponesi!).


Nel frattempo alcune persone spariscono, altre si suicidano inspiegabilmente, dissolvendosi come ombre, altre sigillano
le porte e le finestre delle loro case
con un nastro rosso, delimitando i confini della “stanza proibita”.


Come si è diffuso questo fenomeno? Tramite il web?
Forse sì, forse no, Kurosawa
non ce lo dice.
Le sagome che appaiono dentro
le “stanze proibite” sono fantasmi
o sono reali?
Anche qui non c’è una risposta.


Avrete capito che alla fine del film qualche domanda rimane in sospeso, ma tutto sommato non importa. Perché in fondo questo film
è una metafora. E’ la rappresentazione della vita nelle metropoli (e non solo); dove vivono sì milioni di persone,
ma per la maggior parte sole.
Conosciamo veramente le persone che vivono al nostro fianco?
Quando si può parlare di “amici”?


Nel film non c’è molta differenza tra i fantasmi
e i vivi.
I fantasmi (quando erano vivi) hanno deciso
di chiudere la loro esistenza con il suicidio: sfortunatamente per loro la solitudine
è eterna, e va al di là della morte.
Ma nemmeno i vivi se la passano bene:
alla ricerca di una speranza, vagano in mezzo
al nulla (bellissimi e molto tristi i minuti finali), un viaggio disperato probabilmente senza meta.


Kurosawa ci regala diverse perle.


Innanzitutto le apparizioni: le movenze delle sagome dei fantasmi sono sgraziate, innaturali, inquietanti
(mi ricordano un po’ le infermiere
di Silent Hill), e quando le vittime stanno per vedere le loro facce… Kurosawa si ferma lì. Non ci mostra deformità o mostruosità gratuite,
e fa bene.
Non ci sono bambine incazzate con i capelli corvini lungi sul volto.
Data la mia poca simpatia nei confronti di questi horror orientali, lasciatemi gridare: evviva!!!


Efficaci le scenografie: stanze vuote ed impersonali, edifici fatiscenti, fabbriche abbandonate.
Una Tokio lontana dalla frenesia e dalla confusione del traffico.
Vuota. Desolatamente deserta.


Poi la seconda parte è a dir poco apocalittica.
I nostri protagonisti vagano in una città deserta, alla ricerca di qualcuno, ma non riescono nemmeno a farsi forza tra loro. E’ bellissimo il dialogo nella metropolitana tra il giovane (e ottimista, anche se la realtà lo sta
scoraggiando) Kawashima e l’amica (pessimista e disfattista) Harue.




Lei si lamenta della solitudine che oramai li circonda, non c’è più nessuno attorno a loro, sono tutti scomparsi; lui la incoraggia, dicendole
più o meno “Non preoccuparti di chi non c’è, pensa che ci sono io
al tuo fianco, dobbiamo farci coraggio tra di noi, pensare a chi rimane, non a chi se n’è andato
”. Ma non c’è niente da fare, il pessimismo trionfa.


Devastanti gli ultimi minuti (se avete intenzione di guardare il film magari saltate le prossime righe, passate alla conclusione): decine e decine di morti lungo le strade,
il cielo sempre più buio e scuro,
l’aereo che precipita, il viaggio finale, attraverso l’oceano, alla ricerca di qualche sopravvissuto… sono sfuggiti all’apocalisse, ma possiamo definirli fortunati?
Io non me la sento.


In conclusione lo giudico un horror superiore alla media,
un film spirituale, metafisico: amaro, infelice, senza speranza,
la sua visione lascia decisamente l’amaro in bocca.


Ma vale la pena guardarlo.


E riflettere un poco.


PS: del remake USA non parlo... un pò perchè non l'ho visto,
un pò perchè... da quello che ho letto, è meglio sorvolare...



Voto Finale: 10
(forse non raggiungerà la lode; forse, come spesso capita,
sono stato troppo buono, ma vale la pena dargli un'occasione)



Scheda dell'IMDb


2 commenti:

nion ha detto...

Mi trovo totalmente d'accordo con la tua recensione di Kairo. Secondo me è proprio un esempio abbastanza esplicito di come l'horror sia un semplice mezzo per mostrare ciò che tutti sappiamo molto bene ma ci rifiutiamo di vederlo!
Tanti tanti complimenti per il modo con cui tratti la materia e le dai il giusto valore. Nion

Marco83 ha detto...

Grazie! Troppo buono!